Lo chef Simone Chiodi (Ristorart): «Camerieri come guide per emozionare i clienti»

Lo chef Simone Chiodi (Ristorart): «Camerieri come guide per emozionare i clienti»
di Véronique Angeletti
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Giovedì 16 Maggio 2024, 05:10 - Ultimo aggiornamento: 17 Maggio, 08:40

Lo chef Simone Chiodi e i suoi soci Fabrizio Palanca e Valerio Ceccarelli lavorano in diverse attività legate alla gastronomia.

Tramite la loro azienda Ristorart riforniscono di circa mille pasti al giorno tre mense aziendali, diverse Pmi e servizi pubblici, curano catering per privati e set di fiction in tutt’Italia, hanno un pastificio che produce pasta secca e fresca ripiena, un ristorante a Fabriano e gestiscono a Tolentino il ristorante-bistrot di “Interno Marche Design Experience Hotel”.

Simone Chiodi, quante persone lavorano per voi e in quale settore ha problemi di personale?

«In tutto sono più di 50.

Salvo il pastificio e il catering per le mense, dove gli orari sono regolari, negli altri ambiti spesso ci sono problemi. Come tutti subiamo la carenza di personale qualificato ma con dei risvolti ancora più complessi».

Può spiegare?

«Non cerchiamo dipendenti ma collaboratori. Ossia figure che danno le risposte giuste a clienti esigenti e aiutano il locale a crescere e a prosperare nella visione per la quale è stato ideato».

Quindi?

«Il problema di Fabriano è comune alla ristorazione dell’entroterra. Non riusciamo ad attrarre grandi talenti o a trattenerli e quando le formiamo, spesso se ne vanno forti delle loro esperienze costruite con noi. Mentre a Tolentino, la sfida è diversa».

Perché?

«A “L’Opificio”, il ristorante bistrot di Interno Marche, il progetto voluto da Franco Moschini che ha fatto di Villa Gabrielli, ex-sede dello storico opificio Nazareno Gabrielli, un hotel dove le 30 camere sono dedicate a 25 designer internazionali e a 5 movimenti stilistici del '900, le figure devono essere ancora più professionali e anticipano quello di cui la ristorazione avrà bisogno in un prossimo futuro. Un personale preparatissimo, informatissimo e che sa le lingue. Nel nostro caso, il trait d'union tra il turismo business e il bleisure ossia il viaggiatore che combina impegni di lavoro con lo svago in famiglia. Quel famoso turismo slow e di cultura, target delle Marche».

Corrisponde al profilo stilato dal Presidente della Camera delle Marche...

«Effettivamente. Come condivido il fatto che si deve lavorare con gli Istituti alberghieri, lo facciamo da anni, che i giovani oltre ad una formazione legata all’enogastronomia e all’accoglienza abbino una formazione sul patrimonio artistico, culturale, sull’ambiente, il folklore».

Ma il problema non è una questione di stipendi?

«Nel nostro caso no. Paghiamo più che correttamente e premiamo i nostri dipendenti e le premiamo. Molte volte troviamo anche alloggio, diamo una diaria. I tempi sono cambiati e per trovare delle soluzioni vanno coinvolti gli Istituti alberghieri, le associazioni di categoria ma anche la politica con azioni e misure specifiche».

Ne fa un problema “globale”?

«Certo. Prima, bastava fare buoni piatti, abbondanti e avere camerieri cordiali, efficaci che lo facevano anche come secondo lavoro. Oggi, il cliente esige qualità, tecnica, brio, mise en place. Il cameriere deve muoversi come un maître de salle, consigliare come un sommelier, essere un esperto in gastronomia, in tradizioni. Ed è giusto che lo sia perché dobbiamo stupire ed emozionare i nostri clienti».

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